Marco Donazzan - Il colore del Bianco e Nero

Marco Donazzan

Marco Donazzan - Fotografo Professionista | Medio Formato @marcodonazzan

Da fotografo medio formato, abituato da oltre dieci anni a lavorare quasi esclusivamente a colori — con la mia fidata Kodak Portra 400 — mi sono sempre sentito attratto dal mistero e dalla forza evocativa del bianco e nero.

Quando osservo una stampa ai sali d’argento ben realizzata, soprattutto in grande dimensione, ho la sensazione di entrare in un mondo parallelo, uno spazio sospeso tra materia e poesia.

È stato proprio osservando certe stampe in mostra, dove i dettagli sembrano esplodere dalla superficie, che la mia passione per il bianco e nero ha cominciato a crescere. Non scatto spesso con queste pellicole, ma quando lo faccio, il mio sguardo cambia: vedo in modo diverso, immagino molto di più.

Questo corso ha rappresentato per me un ponte tra la mia pratica abituale nel colore e l’universo più intimo, meditativo e silenzioso del bianco e nero.

Mi ha fatto comprendere che non si tratta soltanto di scegliere una pellicola diversa, ma di adottare un linguaggio nuovo, fatto di sfumature, assenze, intuizioni.

Se il colore descrive la realtà, il bianco e nero la interpreta. Non basta inquadrarla: bisogna pensarla. E questo processo si compie davvero solo in camera oscura.

Il workshop mi ha dato gli strumenti per leggere i miei negativi, per cogliere quel potenziale invisibile che spesso una scansione digitale, per quanto accurata, finisce per appiattire.

Uno degli aspetti più sorprendenti del corso è stato (ri)scoprire la dimensione fisica, sensoriale, quasi rituale della stampa: l’odore dei chimici, il rumore dell’acqua che scorre, la consistenza della carta fotografica tra le dita…

E poi quel momento magico, che non si può spiegare, quando l’immagine comincia lentamente ad affiorare nel bagno di sviluppo.

Il tempo sembra fermarsi. Tutto il resto: telefono, social, notifiche, scompaiono. Si resta soli, in silenzio, davanti a qualcosa che nasce.

È lì che la fotografia smette di essere un file da archiviare o condividere, e torna ad essere un gesto, una presenza concreta, un oggetto vivo.

In un mondo dove computer e intelligenza artificiale dominano la produzione visiva, credo sia fondamentale tornare a usare le mani, accettare l’errore, imparare a migliorarsi attraverso la pratica. C'è una verità profonda nella manualità che nessun algoritmo può replicare.

In camera oscura si diventa davvero autori della propria visione. Ogni scelta, dal contrasto alla densità, dai tempi di esposizione alle mascherature, costruisce il significato dell’immagine.

Stampare non è riprodurre: è interpretare.

È lì che ho compreso fino in fondo la differenza tra una scansione digitale e una stampa analogica. Nella seconda c’è profondità, materia, tridimensionalità. C’è un respiro.

Il controllo creativo che si conquista in camera oscura è una forma di libertà potentissima: la fotografia torna ad essere espressione, non consumo.

Questo workshop mi ha lasciato molto più di un semplice metodo tecnico. Mi ha insegnato che le mie pellicole in bianco e nero non meritano di essere solo digitalizzate e archiviate, ma stampate, vissute, fatte parlare.

Amo tornare a guardare le stampe che ho realizzato, sfiorarle, incorniciarle. Mi restituiscono qualcosa ogni volta: memoria, presenza, senso.

È stato un invito a rallentare, a dare tempo e spazio a ciò che davvero conta.

Credo che chiunque ami profondamente la fotografia debba attraversare questa esperienza: che tu sia all’inizio o già esperto nel colore, la stampa in bianco e nero arricchisce lo sguardo e lo trasforma.

È un’esperienza che riscopre la forza di un gesto antico, ancora straordinariamente attuale.

Fotografare non basta: è stampando che si dà davvero forma e senso a ciò che si è visto.

Viviamo in un’epoca in cui scattare in pellicola è tornato di moda, ma troppo spesso ci si ferma alla superficie.

Usare la pellicola non è un ritorno al passato, ma un modo per rimanere fedeli all’essenza della fotografia: è un gesto lento, umano, necessario.

Stampare in camera oscura è il passo che dà compiutezza all’immagine, trasformandola in qualcosa di duraturo, unico, autentico.

Con la sua chiarezza, la cura per ogni dettaglio e un rispetto profondo per il medium fotografico, questo corso mi ha restituito qualcosa che pensavo perduto: quella meraviglia che nasce quando la tecnica incontra la visione e si fa creazione consapevole.

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Luisa Raimondi - Il processo analogico